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Contaminanti ambientali

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Contaminanti ambientali

Impatto sulla fertilità femminile
By: Heidi Fritz, MA, ND

Bolton Naturopathic Clinic
64 King St W, Bolton, Ontario L7E 1C7
www.boltonnaturopathic.ca



Environmental Contaminants Impact on Female Fertility




Introduzione

Il numero di coppie che ha problemi di infertilità e/o ricorre alle tecnologie di riproduzione assistita (PMA, chiamate anche ART, dall'inglese Assisted Reproductive Technology) è in aumento (1). Uno studio pubblicato nel 2012 ha rilevato che tra le coppie canadesi (con donne tra i 18 e i 40) la prevalenza di infertilità variava tra l'11% e il 15%, il che rappresentava un aumento rispetto alle statistiche precedenti (2). Se confrontiamo questi dati con quelli del 1984, notiamo che la prevalenza di infertilità allora si attestava solo al 5% (2). Diversi sono i fattori responsabili di questa crescita, tra cui le gravidanze tardive e l'aumento dell'età media delle donne che cercano di concepire. Rispetto al 1984, quando solo il 3% dei primogeniti era stato partorito da donne di età superiore ai 35 anni, nel 2008 è l'11% dei primogeniti ad essere nato da donne di età superiore ai 35 (2). Anche altri fattori che si ritiene abbiano un impatto negativo sulla fertilità femminile, tra cui il fumo, l'uso di alcol, e l'obesità, sono in aumento. (2). Dal 1981 al 2009 la proporzione di donne dai 29 ai 30 anni con problemi di obesità è aumentata dal 4% al 21% (2). In ultimo, anche l'esposizione a contaminanti ambientali potrebbe avere avuto un ruolo nella crescita dell'infertilità.

I contaminanti ambientali possono infatti agire come interferenti endocrini (IE), interferendo con la normale produzione e segnalazione ormonale. Gli interferenti endocrini sono in grado di imitare o bloccare gli ormoni endogeni, ostacolando il normale legale con i rispettivi recettori e compromettendo l'espressione dei geni target per gli estrogeni e gli androgeni (3,4). Studi hanno dimostrato che l'esposizione alla diossina può risultare in una riduzione dell'espressione del recettore progestinico in donne affette da endometriosi (5) e resistenza del tessuto endometriale al progesterone negli animali (6). Uno studio su donne in giovane età ha rivelato che l'esposizione al bisfenolo A (BPA) è associata all'ipometilazione (con conseguente sovraespressione) di specifici geni coinvolti nella funzione immunitaria e nei processi infiammatori. Pertanto, oltre a effetti diretti sul sistema ormonale, gli interferenti endocrini possono esercitare effetti negativi sul sistema immunitario, anch'esso intrinsecamente coinvolto nella funzione riproduttiva (8). È stato ampiamente riconosciuto, infatti, come condizioni quali l'endometriosi, l'insufficienza ovarica precoce e gli aborti ricorrenti abbiano componenti autoimmuni. (8,9).

Nel 2005 la Collaborative on Health and Environment ha riunito ricercatori da tutti gli Stati Uniti per tenere un incontro dove discutere dell'impatto dei contaminanti ambientali sulla fertilità umana (10). La Dichiarazione di consenso di Vallombrosa ha sintetizzato i risultati chiave dell'incontro (Ottobre 2015) (11). Essa ha concluso che è probabile che "le interazioni tra geni e ambiente siano coinvolte nell'eziologia di molti problemi riproduttivi, tra cui qualità dello sperma inficiata, sindrome dell'ovaio policistico (PCOS, dall'inglese), endometriosi, fibrosi uterina, pubertà prematura, insufficienza ovarica e menopausa, e cancri dell'apparato riproduttivo" (11). La Dichiarazione ha anche suggerito l'importanza del momento dell'esposizione, dimostrando come gli impatti potenzialmente maggiori avvengono per esposizioni occorse prima del concepimento, in utero e durante l'infanzia (11). Da un recente studio è emerso un dato scioccante: la presenza di bisfenolo A libero nel 62% dei campioni di latte materno prelevati da puerpere degli Stati Uniti (12).

Nel presente articolo prenderemo in considerazione le prove esistenti sul legame tra l'esposizione a interferenti endocrini e la fertilità. In particolare esamineremo l'impatto del bisfenolo A (BPA), poiché quest'ultimo è uno degli IE più studiati, e in misura minore le diossine e i policlorobifenili (PCB). Cfr. Tabella 1.

Tabella 1 Interferenti Endocrini (adattato dalle citazioni 11 & 13)
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Interferente Fonti
Bisfenolo A

È il costituente principale delle plastiche in policarbonato e resine epossidiche. Il bisfenolo A è utilizzato in contenitori per cibo, bottiglie d'acqua, biberon, porta CD, lenti degli occhiali, rivestimenti degli scatolami, e come sigillante dentale.

Si lega a ricettori nucleari e extracellulari; può agire come agonista per il recettore ER-B e come agonista o antagonista per il recettore ER-a.

Inibisce gli effetti trascrizionali dell'ormone tiroideo T3.

Diossine Una classe di centinaia di sostanze chimiche persistenti derivanti da processi di combustione/incenerimento industriale; combustione di rifiuti domestici o uso di combustibili come il legno, il carbone e l'olio; candeggio al cloro della pasta di carta; e fumo di sigaretta.

Policlorobifenili (PCB) Composti persistenti, bioaccumulabili banditi dagli Stati Uniti alla fine degli anni settanta, ma la cui contaminazione è ancora diffusa. I PCB sono stati utilizzati in centinaia di applicazioni industriali e commerciali, compresi lubrificanti, plastificanti, isolanti per applicazioni elettriche, sigillature e vernici.


17β-Estradiol molecule
Endometriosi Endometriosi

Diversi studi hanno documentato un'associazione tra i livelli di contaminanti, come diossine, ftalati e BPA, e il rischio di endometriosi. Si ritiene che l'endometriosi sia in larga parte una condizione estrogeno-dipendente, ed è possibile che IE come le diossine, i PBC e il BPA ne imitino gli effetti o aumentino la sensibilità delle cellule endometriali all'estradiolo (14). In uno studio su cellule endometriali in vitro, l'esposizione al BPA ha avuto come risultato una diminuzione della proliferazione o crescita cellulare e un aumento della morte cellulare (apoptosi) (15). Il BPA potrebbe anche esacerbare i meccanismi antinfiammatori implicati nell'endometriosi, inclusa la mancata sensibilità al progesterone e l'attivazione delle cellule immunitarie (16).

Uno studio ha valutato 17 donne infertili dividendole in due gruppi in base alla presenza o meno di endometriosi evidenziata dall'esame laparoscopico (17). Dieci donne su 17 soffrivano di endometriosi. I ricercatori hanno misurato la concentrazione di 29 diverse diossine nel sangue e nel fluido peritoneale (cavità pelvica). I risultati hanno mostrato che livelli più alti di diossine (in particolare policlorodibenzo-p-diossine, PCDD e policlorodibenzofurani, PCDF) nel fluido peritoneale erano significativamente associati a un aumento di 2,5 volte del rischio di endometriosi.

Da un altro studio è emerso che in un gruppo di donne italiane affette da endometriosi i livelli di PCB erano significativamente maggiori rispetto a soggetti di controllo sani (18). Uno studio più recente ad opera dello stesso gruppo di ricerca ha scoperto che tra le donne con elevati livelli nel sangue sia di PCB non diossino-simili e PCB diossino-simili il rischio di avere l'endometriosi aumenta da 3 a 6 volte.

Un recente studio condotto su 495 donne sottoposte a laparoscopia e 131 controlli ha evidenziato livelli di ftalati più alti nelle donne affette da endometriosi. Inoltre, le donne con endometriosi non sottoposte a laparoscopia hanno evidenziato livelli di BPA 3 volte superiori, 4,19 ng/mL rispetto a 1,65 ng/mL. Infine, in uno studio condotto su circa 70 donne, gli esami del sangue hanno mostrato livelli di BPA non rilevabili in donne in buona salute, mentre il 63% delle donne con endometriosi presentava livelli di bisfenolo A o bisfenolo B nel sangue (14).

Sindrome dell'ovaio policistico (PCOS)

La sindrome dell'ovaio policistico (PCOS) è un disordine che colpisce fino al 10% delle donne in età riproduttiva. Tale disordine è caratterizzato da un problema di regolazione insulina-glucosio detto insulino-resitenza (pre-diabete), e da un elevato numero di ormoni androgeni come il testosterone e l'androstenedione; entrambi questi fattori si traducono in difetti dell'ovulazione, per cui le donne affette da questo disturbo possono avere cicli lunghi ed irregolari, scarsa qualità degli ovociti e conseguenti problemi di fertilità. La ricerca ha mostrato che il BPA può essere elevato nella PCOS e contribuire ad essa.

In uno studio su 40 donne magre e sovrappeso con PCOS e 20 soggetti sani, il livello ematico di BPA era indipendentemente associato a insulino-resistenza, indice di androgeni liberi, infiammazione e volume della milza (un marcatore di infiammazione cronica) più elevati (20). Se ne deduce che il BPA può aggravare non solo gli squilibri ormonali (incrementando gli androgeni), ma anche le condizioni prediabetiche (insulino-resistenza) e l'infiammazione, con un effetto negativo sulla fertilità e sulla salute a lungo termine.

Un secondo studio condotto su 71 donne con PCOS e 100 soggetti sani ha evidenziato che le donne con PCOS possiedono livelli di BPA significativamente maggiori: rispettivamente 1,05 contro 0,72/mL (21). Il BPA era anche significativamente associato a testosterone e androstenedione, due ormoni androgeni i cui livelli sono molto elevati nella PCOS, e connesso all'insulino-resistenza. Livelli elevati di androgeni e insulino-resistenza rappresentano due dei disturbi chiave che causano problemi di ovulazione nelle donne affette da PCOS. Questi studi dimostrano che il BPA è collegato ad entrambi i fattori. È interessante notare che l'evidenza suggerisce una relazione bidirezionale tra gli androgeni e il BPA (21). Un eccessivo livello di androgeni è in grado di ridurre lo smaltimento del BPA da parte del fegato inibendo l'enzima uridina difosfato-glucuronosil transferasi, e, viceversa, il BPA è in grado di dislocare gli androgeni dalla loro proteina legante nel sangue (Globuline leganti gli ormoni sessuali, SHBG), aumentando così la quantità di androgeni liberi attivi nell'organismo (21). Sembra anche che il BPA possa incrementare in maniera diretta la produzione di androgeni da parte delle cellule della teca, esacerbando oltremodo il problema (21).

Da uno studio su 48 donne italiane sono emersi livelli ematici di BPA significativamente più alti nelle donne con infertilità rispetto alle donne fertili, parallelamente a una maggiore espressione dei recettori estrogenici alpha (ERα) e beta ((Erβ), e del recettore androgenico (AR) (22). Ad esempio, la presenza di BPA nel sangue è stata riscontrata in sole 3 donne fertili (23%), contro le 35 (73%, p<0,01) pazienti con infertilità di varia natura (endometriosi o altro) (22).


Fertilizzazione in vitro Fertilizzazione in vitro

È stato dimostrato come i livelli di IE, in particolare BPA, abbiano un impatto sulla risposta ovarica in donne sottoposte a fertilizzazione in vitro (FIVET). Uno studio ha valutato i livelli di BPA di un totale di 44 donne sottoposte a FIVET (23). Il livello sierico medio di BPA non coniugato nell'intera coorte era 2,53 ng/mL, e, soprattutto, i livelli della maggioranza delle donne (86%) superavano il limite di rilevazione. Le donne con i livelli più alti presentavano livelli massimi di estradiolo più bassi in risposta alla stimolazione con gonadotropine (FSH), indicando una più scarsa risposta ovarica alla stimolazione ormonale. Benché tale studio non avesse alcuna associazione con la conta dei follicoli antrali, tuttavia, in uno studio più recente, i livelli di BPA sono stati associati a una conta dei follicoli antrali significativamente inferiore, "destando preoccupazione per una possibile accelerazione della perdita follicolare e dell'invecchiamento riproduttivo" (24).

Risultati simili sono stati riportarti in un secondo studio volto a valutare il BPA urinario (25). Sono state valutate un totale di 84 pazienti sottoposte a un totale di 112 cicli di FIVET. La concentrazione media di BPA urinario era 2,61 μg/L, con un limite di rilevabilità che arrivava a superare i 65 μg/L. Lo studio ha dimostrato una diminuzione media di estradiolo di 213 pg/ml per ogni un'unità logaritmica in più di BPA. Inoltre, c'era una significativa diminuzione, pari al 12%, del numero di ovociti recuperati per ciclo per ogni unità logaritmica in più di BPA (25). Il livello massimo di estradiolo è correlato al numero di follicoli maturi e al numero di ovociti recuperati (23). Pare che il BPA possa interferire con la sintesi degli estrogeni da parte delle cellule della granulosa, cellule di sostegno all'interno dell'ovaio (23,26). I dati provenienti dai modelli animali suggeriscono che il BPA inibisce l'attività dell'aromatasi nelle cellule della granulosa, la quale è necessaria per convertire gli androgeni in estrogeni nelle cellule della teca nell'ovaio (23). È stato dimostrato, inoltre, che il BPA causa apoptosi, o morte cellulare programmata, nelle cellule della granulosa (27).

È stato fatto anche un collegamento tra i livelli di IE e i risultati della FIVET. In uno studio su 137 donne sottoposte ad un totale di 180 cicli di FIVET in un centro nella zona orientale degli Stati Uniti, i livelli di BPA urinario erano associati a risultati più scarsi (28). Il livello medio di BPA in urina era pari a 1,53 μg/L. Si ritiene che l'analisi del BPA nelle urine possa individuare l'esposizione nel corso delle ultime settimane o mesi. Una probabilità di fallimento degli impianti due volte maggiore si accompagnava a concentrazioni di BPA più elevate (>3,80 μg/L), in confronto alle donne con i livelli di BPA più bassi (≤ 1,69 μg/L) (28). L'impianto è regolato a livello ormonale dall'estradiolo e dal progesterone, e si pensa che gli effetti estrogenici del BPA interferiscano con l'impianto tramite due possibili meccanismi: 1) accelerando il tasso di sviluppo della blastocisti e quindi portando ad una mancata sincronizzazione con l’adeguata finestra di ricettività uterina, e 2) diminuendo direttamente la ricettività uterina all'impianto della blastocisti (28).

Uno studio, infine, ha valutato le associazioni tra IE e cambiamenti nella metilazione del DNA. La metilazione del DNA è un meccanismo che promuove o silenzia l'espressione genica; in generale, ad un aumento della metilazione corrisponde una diminuzione dell'espressione, mentre una diminuzione della metilazione solitamente comporta un aumento dell'espressione genica. Lo studio ha rilevato che tra donne sottoposte a FIVET quelle con maggiore esposizione al BPA, misurato in termini di livelli ematici di BPA, presentavano una metilazione inferiore di un gene coinvolto (29). Il gene TSP50 codifica "una proteasi 50 testicolo-specifica", un prodotto di funzione ignota che viene espresso nei testicoli, e, tuttavia, questo studio dimostra anche un altro meccanismo con il quale il BPA potrebbe influenzare la riproduzione umana, sebbene esso non sia stato ancora compreso bene. In tale studio è emersa anche una correlazione tra livelli più elevati di mercurio e un aumento della metilazione del promotore GSTM1/5, un gene affiliato con il glutatione, un importante enzima antiossidante intracellulare che ha una funzione disintossicante nei confronti delle sostanze chimiche e cancerogene (29).


Conclusioni Conclusioni

Questi dati, tutti insieme, dimostrano gli effetti potenziali dei contaminanti ambientali come il BPA, le diossine e i PCV verso i disordini del sistema riproduttivo femminile. Questa associazione potrebbe spiegare in parte la recente crescita dei disordini connessi alla fertilità presenti nella nostra società. Ci sono le basi affinché donne, bambini, e in verità la popolazione in generale, adottino misure per evitare questi comuni contaminanti. Una questione per la ricerca futura riguarda i metodi di individuazione e i metodi per una rimozione sicura ed efficace di questi inquinanti dall'organismo, che sia attraverso la valorizzazione del glutatione e altri percorsi di disintossicazione presenti nell'organismo, o attraverso strategie che comportano la sudorazione, come l'esercizio fisico e la terapia della sauna a infrarossi.